Oggi, 25 ottobre, giorno del compleanno di Antonio Vitolo, alcuni colleghi dell’Aipa Napoli l’hanno voluto ricordare così!
Per Antonio
Energia incondizionata. Lo avete mai visto a passo rallentato e sguardo distratto? E sul versante professionale, monocorde e uniforme? La cura – l’analista e il formatore – la ricerca – infaticabile promotore di eventi scientifico-culturali di alta rilevanza – prolifico autore di saggi, articoli e libri. Ma anche creazioni estetiche ispirate alla poesia e alla musica. Un moto perpetuo. In oltre cinquanta anni di conoscenza e frequentazione, ho conosciuto anche l’uomo e mentirei inevitabilmente se non ne riconoscessi anche le ombre, come lui stesso candidamente ammetteva. Negarle sarebbe come negare la sua stessa umanità. Qui però desidero ricordarlo come lo studioso che del lascito junghiano si è fatto acuto interprete, mettendone in luce i multiformi aspetti ma anche il pensiero aporetico, bisognoso di estensioni e sviluppi. Come dirà in un suo articolo, eventi storici contemporanei, eminenti creazioni artistiche, acute sofferenze, risultano comprensibili sin nelle pieghe nascoste se filtrate al vaglio del pensiero di Jung, in grado così di illuminare sia i processi culturali, sia la cura. Non a caso l’articolo a cui mi riferisco attiene al cinema e, nella fattispecie, al film di Nanni Moretti, Habemus Papam, laddove Antonio, a partire dal rilevamento di contenuti archetipici, mette insieme l’arte, la tematica del sacrificio strettamente legata alla funzione trascendente, il profondo bisogno di trasformazione, individuale e collettivo, la sensibilità ai problemi politico-culturali – in questo caso prendendo in esame la rivoluzione dei “gelsomini” in Maghreb scoppiata nel 2010. Il tutto riportato nell’alveo del tema forse a lui più caro del Sogno. Vorrei concludere con un breve aneddoto. Al termine della articolata e corposa relazione di Antonio in un importante convegno, la giovane collega, prossima alla conclusione del suo training, seduta accanto a me, mi disse con sguardo rapito “anche quando non lo capisco, il professore Vitolo, mi lascia sempre qualcosa!”
Paola Russo
Un saluto ad Antonio da parte mia
E’ difficile parlare di Antonio perché era una persona complessa, instancabile, ricca e vivacissima culturalmente.
Non credo sia possibile in poche battute ricordare lo studioso, il formatore, l’analista, il letterato ed il poeta; Antonio racchiudeva nella sua persona doti, qualità e preziosi pensieri di cui ci ha lasciato ampia e pregnante testimonianza. Desidero, invece, ricordarlo come amico, come persona affettuosa che ti ritrovavi vicino se ne avevi bisogno. Lui c’era sempre.
Di lui voglio ricordare due eventi in particolare che ci hanno visto insieme e che custodisco con cura nella memoria: il primo in occasione della pubblicazione di un suo libro, Le Psicoterapie, uno dei suoi numerosi testi, che presentò a Napoli all’Istituto degli Studi Filosofici nel 1997. Rammento l’ardore e l’entusiasmo con cui mi invitò a presentarlo insieme ad altri colleghi. Di fronte alle mie resistenze, legate al timore di cimentarmi in un’impresa che mi intimoriva con colleghi più anziani e più esperti di me, Antonio fu perentorio e deciso dicendomi: Ma che timori hai? Dobbiamo fare largo a persone giovani e sono certo che riuscirai benissimo in questa impresa. Lo feci ed ancora lo ringrazio per la carica che mi diede e la fiducia che mi trasmise.
Lo ricordo con affetto al mio matrimonio in Toscana, quando nonostante la distanza del luogo, accettò l’invito ed animò la serata intonando canzoni napoletane e stornelli che crearono un’atmosfera festosa ed allegra, di cui gli sono grata.
Mi piace ricordarlo così davanti ad un pianoforte pronto a farci ascoltare il suo canto.
Ciao Antonio,
Silvana Lucariello
Per Antonio Vitolo
Antonio è andato. Non se n’è andato: amava troppo la vita perché si possa usare una espressione avverbiale/pronominale che faccia riferimento in qualche modo all’andare come scelta.
E solo ora mi accorgo di aver scambiato con lui molto più di quanto credessi.
Mio didatta all’AIPA, in seguito certamente amico, magnanime nel suo rispondere a inviti a partecipare a seminari, a presentazioni di libri e nell’invitarmi a sua volta a casa sua, cioè la
splendida cornice del palazzo Serra di Cassano, del quale spalancava metaforicamente il portone sbarrato, con le sue iniziative imponenti. Esperto nel proporre letture geniali del sogno (anzi, aperture, sempre convinto junghianamente che un sogno è attivatore di processualità e non va saturato con una interpretazione con-cludente). E ancora amico del mio compianto fratello Mario: quanto giocavamo sulla loro somiglianza! Certamente un Maestro. Imbarazzante, a dire il vero. La sua cultura era enciclopedica e schiacciante, al punto che l’interlocutore doveva scegliere di concentrarsi solo su qualcuno della miriade di riferimenti e citazioni, come sommerso da una sorta di eloquio tangenziale che apriva continuamente files coerenti e arricchenti.
E la memoria: una volta ho assistito sgomento al suo citare in latino un passo di una intera pagina;
così, come se recitasse La vispa Teresa. Pensavo tra me e me: Giovanni Pico della Mirandola si
rivolterà nella tomba!
Quanto tempo è passato! Ma no, è una banalità, una idiozia: basta andarsi a rileggere il suo contributo (uno degli innumerevoli) per la mia Rivista di Psicologia Analitica, Note sul sentimento junghiano del tempo.
Tra i tanti doni che mi ha fatto, quando uscì Pauli e Jung, oltre ad articoli su giornali, presentazione all’AIPA, mail intime che non sento di poter condividere qui (seppur in un momento così affettivo quale la sua commemorazione), mi inviò qualche riflessione (qualche riflessione…; in realtà materiale su cui avrebbe potuto e saputo scrivere tre libri). Riporto qualche passo, facendo una sintesi forse banalizzante, ma che a mio avviso, se letta tra le righe, dà un piccolo riflesso di luce di quella piramide caleidoscopica che è stata la sua immensa cultura.
Antonio, appunto:
Integrando i dati di un trentennio di osservazioni junghiane sulla sincronicità con i propri, maturati entro un ulteriore trentennio di attività e di studi, von Franz propose in Psiche e materia due assuntiteorici e clinici: l’;interazione tra psiche e materia e, all’interno di essa, la centralità del sogno quale elemento strutturale dotato intrinsecamente di senso, teso a svelare la tessitura temporale connessa al senso stesso. A tale riguardo veniva indicato un paradigma interessante, un sogno (v. p. 98) concernente, peraltro, ’identità personale d’un uomo divenuto analista nell’Istituto di Zurigo (ciò non è espresso dall’autrice, ma è indicazione emersa da una mia fortuita conoscenza personale con l’analista junghiano Josè Zavala, messicano, oltre trent’anni fa). Il sogno, preceduto da un’intensa interrogazione interiore del sognatore – del tipo “Che cosa accade quando interpretiamo un sogno?” – era il seguente :
“Mi trovo all’aperto, in una città antichissima, in una piazza quadrata: con me c’è un giovane uomo, pieno di forza e vitalità, dai capelli biondi…e mi racconta i suoi sogni…I sogni sono una sorta
di materiale, che egli dispiega dinanzi a me, nel raccontarli. Ogni volta che ne racconta uno, un sasso cade dal cielo e colpisce il sogno che vola via a pezzi.
Quando prendo i pezzi in mano, risultano fatti di pane. I pezzi, volando via, lasciano scorgere una struttura interna simile a una scultura moderna d’arte astratta…fatta di matrice e anima. Dico al giovane che questo indica come si dovrebbe ‘denudare’ un sogno, sino a giungere alla matrice e all’anima. Cambia allora la scena del sogno. Il giovane e io siamo seduti sulla riva d’un grande, meraviglioso fiume…la struttura costruita dai sogni ha assunto un’altra forma. I sogni non si presentano più come una piramide fatta di matrice e anima, bensì di migliaia di piccoli quadrati e triangoli, simile a un quadro cubista di Braque, tridimensionale e animato. Colori e chiaroscuri dei piccoli quadrati e triangoli mutano continuamente. Spiego che per un uomo è essenziale mantenere l’equilibrio dell’intera composizione, bilanciando immediatamente un cambiamento cromatico con una variazione corrispondente nella parte opposta…Guardo allora al vertice della piramide: là non c’è nulla…spazio vuoto. Quando vi fisso lo sguardo, questo spazio comincia a brillare di luce bianca. Cambia ancora la scena: permane la piramide, che ora però è fatta di fango secco. Il vertice è ancora brillante. Realizzo improvvisamente che la punta invisibile è resa visibile dal fango secco…e viceversa. Guardo in profondità il fango e comprendo che sto fissando la mano di Dio.Grazie a un’improvvisa illuminazione capisco perché il vertice sia invisibile: è il viso di Dio.” Ecco, carissimo Antonio. Il tuo tempo; il bilanciamento cromatico per mantenere l’equilibrio dell’intera composizione; al vertice della piramide non c’è nulla, spazio vuoto; la piramide che diventa di fango secco…la terra, quindi; la punta invisibile viene resa paradossalmente visibile dallo stesso fango secco; guardando in profondità il fango, compare la mano di Dio.
Il vertice è invisibile; certo, è il viso di Dio.
Per chi crede, vuole credere, sa credere e si può consentire di credere: che quel viso sia benevolo e persino curioso nell’accogliere un uomo così complesso e così ricco da meritarsi la solitudine invidiata di noi, artigiani della psicoanalisi.
Angelo Malinconico
Ho conosciuto Antonio Vitolo prima di iniziare il percorso come analista, a Ischia, dove Antonio trascorse qualche giorno di vacanza insieme a Nadia.
Il contesto e la dimensione della vacanza in un luogo abbastanza isolato mi fecero conoscere la serenità e ricerca degli aspetti essenziali della vita di Antonio Vitolo.
Lo rincontrai poi in contesti più caotici e proiettati sul fare, a Roma, e poi come allieva durante il training all’Aipa di Napoli, dove arrivava sempre di corsa perché incastrava sempre mille attività. Ci stupiva ogni volta con il suo immenso sapere, la sua conoscenza profonda, puntuale di date, citazioni ecc… sulla psicologia del profondo e in particolare su Jung.
Intervallava però sempre le lezioni così dense di sapere con domande interessate e sincere rivolte alle vite e vicende delle persone presenti. Gli piaceva molto scherzare e fare battute e un riferimento calcistico al suo amato Napoli c’era sempre. Con me, che sono bilingue, amava sempre scambiare qualcosa, anche citazioni junghiane, in tedesco.
Antonio era un profondo studioso, ma cosa ancor più importante era molto generoso, amava condividere le sue ricerche e spronava noi allievi a studiare, scrivere articoli, fare ricerca.
Nei nostri incontri condivideva anche racconti intimi carichi di affetto sul nipote e figlio. Trapelava la sua stima per Nadia e scherzosamente temeva i suoi rimproveri.
La sua morte è una immensa perdita per il mondo junghiano, ma grazie alla sua generosità e capacità di condivisione saremo per sempre ricchi e grati dei pensieri, scritti, appunti, racconti, lezioni che ci ha regalato.
Angelica Iacono
Antonio lo ricordo alle prime lezioni che seguivo al training intimidita dal suo enciclopedico sapere e affascinata dal suo modo di raccontare mentre insegnava porgendoci delle connessioni tra fatti e argomenti per me allieva alle prime armi non sempre facili da mettere a fuoco e comprendere. Mi ricordo la prima volta che parlando degli attacchi di panico ha fatto un collegamento con il dio Pan e ci ha consigliato di leggere il saggio su Pan di Hillman. Produceva, il suo parlare, in me per metà confusione e per metà fascinazione; nel tempo la mia timorosità nei sui confronti si è colorata di una nota di affettività e affettuosità ogni volta che ci incontravamo.
Ciao Antonio
Marina Gallozzi
Caro Antonio, padre, fratello, maestro, amico, di te ammiravo l’inesauribile desiderio di conoscere, avventurandosi negli ambiti più vari, capacità che confesso invidiavo.
Mi sei stato di esempio, irraggiungibile .
Ti ricordo con affetto e ti auguro di continuare dovunque tu sia la tua ricerca con la stessa energia, curiosità, creatività che ti ha contraddistinto.
Un abbraccio
Maddalena Cinque